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Quanti significati può assumere un semplice fiore? Un fiore ha una bellezza intrinseca e, nella sua natura più profonda, rappresenta l’esistenza. Non apparente decorativismo, ma ikebana, “fiore che prende vita” e che attraverso la sua rappresentazione carnosa e materica, si mostra simbolo della vita che scorre e insieme di allegria e colore, di bellezza e di passione, di forza e delicatezza, di costanza e incertezza, di nascita, di vita e di morte. In questa operazione condotta su dei semplici fiori si potrebbero cogliere i segni di un eccesso di artificiosità, di una distanziazione massima dalla natura. In realtà questa operazione è del tutto analoga a quelle dello haiku, è l’operazione con cui si ottiene una riduzione al minimo degli elementi impiegati, alla quale corrisponde un’espansione al massimo delle loro qualità e, di conseguenza, si producono le condizioni per un massimo di intensità percettiva. Questa «riduzione» degli elementi impiegati nella rappresentazione dei fiori, è svolto dal vuoto temporale, ottenuto grazie alla matericità degli elementi impiegati. infatti la riduzione al minimo degli elementi impiegati è funzionale non solo alla messa in rilievo delle loro qualità formali (struttura e colore dei fiori) ma anche e soprattutto all’evidenziazione della qualità specifica che con maggior intensità li determina tutti, indipendentemente dalle loro differenti qualità formali: l’impermanenza. Così lo spazio vuoto attorno a un fiore non serve soltanto a far risaltare le sue forme, ma finisce con l’esaltare la sua impermanenza. Se si intende l’arte non semplicemente come una forma di contemplazione, ma come un’esperienza pratica, l’importanza di questo carattere di impermanenza risulta ancor più evidente: in particolare, se si presta attenzione al fatto che il vuoto dello fondo è metafora sensibile del vuoto della mente, ciò che emerge è non solo il processo «spaziale» per cui questo vuoto rende possibile ed accoglie i fiori così come il vuoto della mente rende possibile ed accoglie la disposizione di idee ed emozioni, ma è soprattutto l’esperienza «temporale» per cui idee ed emozioni, al pari delle loro disposizioni, vengono vissute come impermanenti, transitorie, vuote di persistenza.

 

 

Allora diventa chiaro che quando a proposito dei fiori si parla di un «massimo di intensità percettiva» non ci si riferisce soltanto all’evidenza con la quale si manifestano i contorni formali e i particolari botanici dei fiori, ma si intende soprattutto la forza con cui si esplica l’esperienza dell’impermanenza: quando, osservando i fiori nel vuoto del fondo, si diventa consapevoli, in modo sensibile, che tutti gli eventi, compresi quelli che determinano la propria coscienza e, quindi, anche questa consapevolezza, sono permeati dallo stesso vuoto che in poco tempo fa diventare fiore un germoglio e che in poco tempo lo fa anche appassire.

 

 

I fiori condensano in sé il significato non di una cosa ma di un processo, hanno in loro la felicità che noi tante volte non siamo capaci di trovare in una vita che può dare tanto se si sa godere e gioire anche di un fiore perché un fiore è capace di profondere bellezza così com’è. Questa bellezza è come una goccia di rugiada che al mattino svanisce. È la poesia della vita attraverso cui possiamo osservare e accettare la bellezza nella sua vera natura.  Quando guardiamo a questa particolare bellezza, non troveremo nulla cui attaccarci, nulla da rifiutare, nulla su cui indugiare più di un’instante: vedremo come ogni cosa cambia, nasce e muore in modo assolutamente interdipendente e simultaneo.

Ignazio Fresu

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